«C’è qualcosa di antico che il nostro oggi non sopporta più.
Anacronistica è la mancanza di fretta, inopportuna e malata l’attesa. L’immediatezza la fa da padrona.
Ogni conquista d’oggetto diventa, presto, sorpassata. E perché qualcosa tenga, bisogna che sia invisibile o segreto.

La tecnologia corre e i suoi prodotti tramontano con la rapidità di un lampo: perciò il soggetto arranca dietro nuovi saperi che presto sfumano, sostituiti da altri più rapidi o funzionali. E a lui, lo lasciano monco o stordito.

Può sembrare strano, eppure qualcuno ambisce a un sentire diverso: a un sentire anacronistico e lento.»


Gabriella Ripa di Meana, Lacune, 2012

Sei mesi dopo è un blog, nella sua accezione più duemileggiante, fatta di quel grumo di inconsapevolezza e sventatezza che ha caratterizzato la condivisione di qualsiasi pensiero negli anni in cui i social network non costituivano ancora uno standard ineludibile, in cui ci si prende del tempo; non solo per pensare, ma anche per esprimersi.

Sei mesi dopo si prende, piuttosto chiaramente, sei mesi per condividere un’opinione su qualcosa, che si tratti di un’opera di finzione o un avvenimento la cui importanza richiede prima o poi a tutti di parlarne.

Sei mesi dopo, oltre che un’occasione per riflettere, per guardarsi attorno con più attenzione e calma, è anche un esercizio di autocontrollo per raccapezzarsi; è una, prima, risposta alla domanda “perché aspettare?”: per scoprire perché aspettare.